Il progetto del Parco Ardito Desio

Tra il 1956 e il 1963, la costruzione del Villaggio del Sole nella campagna udinese ha posto l’attenzione sull’espansione e conseguente pianificazione della zona Nord-Ovest della città di Udine, infatti nei 20 anni successivi sono state progettate tra il centro città e i Rizzi diverse infrastrutture, come il Polo universitario, lo Stadio e zona residenziale di Via Mantova.

In particolare negli anni Novanta, rimase un vuoto urbano tra i nuovi centri a nord-ovest della città che spinse l’amministrazione a commissionare la realizzazione di una vera e propria cerniera di collegamento che potesse offrire al quartiere, e a tutta la zona, uno spazio per l’uso collettivo. In quel periodo storico, di grande euforia sociale ed economica data da Italia Novanta, compare un’area pubblica dal nome “Giardino Piazza Peep ovest-nord” (1989-1992) progettata dall’architetto friulano Gianugo Polesello, assistente dell’arch. Ignazio Gardella e dell’arch. Giuseppe Samonà allo Iuav di Venezia.

Quest’area oggi è conosciuta come un parco (Parco Ardito Desio, Parco Polesello, Parco di cemento, etc) o come un cantiere, o anche KK, ma all’inizio degli anni Novanta era definita brutalmente una “gettata di cemento”. Inoltre, nonostante si tratti di una “architettura d’autore”, essendo molto recente ancora non è formalmente individuata come un patrimonio da tutelare in quanto non ha ancora subito un processo di storicizzazione. Una delle cause risiede nella legislazione italiana stessa, in quanto il Codice dei beni culturali e del paesaggio permette di tutelare edifici pubblici che hanno minimo 70 d’età.

Eppure il parco è un luogo molto originale che dal punto di vista compositivo ha bisogno di essere spiegato. Vuoi conoscere il progetto? Non ti resta che continuare a leggere con curiosità.

Nato con lo scopo di essere un vuoto in cui potessero attivarsi delle nuove relazioni per la città, oggi il parco si presenta ancora come uno spazio pubblico dai confini ben delineati, aree definite e funzioni a tratti riconoscibili e a tratti lasciate al caso. In generale l’obiettivo dell’architetto Polesello era trasmettere una chiarezza formale attraverso forme in cui ogni abitante potesse ritrovarsi e orientarsi.  Per questo all’interno del parco, si trovano spazi ben definiti e nominati come segue nel progetto:

  • la grande “piazza-coperta” con copertura in travi reticolari e materiale trasparente, sorretta su due lati da muri in cemento armato aperto da grandi varchi che ne permettono il passaggio: oggi è l’area che viene riletta come spazio idoneo alla pratica dello skateboarding e della danza, grazie alle caratteristiche proprie dei materiali usati per la pavimentazione; 
  • vi sono poi due gradinate che si rivolgono a due punti differenti del parco: una guarda verso via Val d’Arzino e è separata da essa da un ampio spiazzo lastricato e affiancata da quella che all’inizio doveva essere una “fontana a cascata”, mentre l’altra più a sud suggerisce un ipotetico utilizzo come “teatro spontaneo” con fondale in cemento, tant’è che nei racconti finora raccolti, in molti lo ricordano come il luogo dove venivano proiettate le partite dei mondiali di calcio; 
  • la zona più grande del “parco urbano attrezzato” è destinata al verde, delimitata da filari ordinati di alberi che ne sottolineano la pianta perfettamente quadrata e che separano l’interno, dedicato ai giochi per i bambini, e l’esterno;
  • vi è poi ai margini, quasi come due ingressi, il luogo destinato alle “quinte” e ai due “padiglioni”, uno quadrato e uno triangolare, posizionati come punti di partenza e arrivo di un percorso pedonale lastricato che taglia in due il quadrato verde. Il padiglione quadrato ospita oggi la “bowl”, ovvero un’area dedicata alle acrobazie dei fruitori in bmx o monopattino;
  • tutti gli elementi costitutivi del parco vengono raccordati da “portici-pergolati”, percorsi lastricati alla quota del terreno o rialzati in acciaio, sorretti dalle colonne in cemento armato ormai ricoperte di vegetazione rampicante.

Foto tratta dal libro Gianugo Polesello : architetture, 1960-1992, a cura di M. Zardini e M. Cacciari, Electa,1993

Il tema del vuoto, caro a Polesello per il suo modo di concepire la città anche attraverso queste occasioni di mancanza di tutto ciò che rende l’architettura materiale, rende lo spazio colmo di significato, insieme all’utilizzo di forme geometriche pure con la disposizione di colonne e dei setti murari che permettono a diverse funzioni di trovare il proprio spazio prediletto utilizzando un disegno chiaro e geometricamente raffinato richiamando le forme del cerchio, del quadrato e del rettangolo.

Oggi il parco un luogo duttile, grazie alla sua progettazione “libera”, e in cui si riversano usi e pratiche del tutto eccezionali per la città, ma soprattutto dove la città informale grazie allo strumento dell’arte si esprime attraverso i colori, il corpo e la musica e permette di riconquistare tutti quegli spazi apparentemente poco funzionali e accessibili, arricchendoli di significato. 

La modalità di valorizzazione ripresa dal progetto L’architettura conquistata è basata sull’attivazione di un percorso conoscitivo per comprendere ed apprezzare un’architettura esteticamente, socialmente e funzionalmente importante: sarà un processo di costruzione condivisa di senso generativo di nuove conoscenze e nuovi stimoli per le persone coinvolte.

Foto tratta dal libro Gianugo Polesello : architetture, 1960-1992, a cura di M. Zardini e M. Cacciari, Electa,1993

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *